Libertà: stampa e morale

... questo è il caso del direttore di un giornale ...


... infatti ai sensi dell'art.5 n.3 della citata legge sulla stampa del 1948, ulteriore requisito per la direzione del periodico, è un documento da cui risulti l'iscrizione nell'albo dei giornalisti, nei casi in cui questa sia richiesta dalle leggi sull'ordinamento professionale.
Questo “ordinamento”, come è noto è stato introdotto dal regime fascista con il R.D. 26 febbraio 1928, n.384, la cui disciplina sull'iscrizione negli albi professionali è stata ora sostanzialmente trasferita nella vigente legge 3 febbraio 1963, n.69, la quale richiede per la direzione di un giornale (art.46, 1 ° comma), l'iscrizione nell'elenco dei giornalisti professionisti, che si ottiene dopo 18 mesi di pratica e la prova di idoneit à professionale (art.29); per la direzione di un periodico (art.46 2° comma), occorre, poi, l'iscrizione nell'elenco dei pubblicisti, che si può avere dopo aver svolto per almeno due anni, un'attività pubblicistica, regolarmente retribuita (art.35), salvo i casi di periodici o riviste a carattere tecnico, professionale o scientifico (esclusi quelli sportivi o cinematografici) per i quali basta l'iscrizione in elenchi speciali (art.28).
La situazione attuale è, pertanto, la seguente:   - non si può far registrare né pubblicare un periodico, se non v'è un direttore responsabile iscritto nell'albo dei pubblicisti;
- non si può essere pubblicisti se non si è collaborato per almeno due anni su un quotidiano o periodico, disposto a pagare una retribuzione;
- non si può collaborare su un giornale se il direttore non vuole;
- il direttore, a sua volta, è un giornalista - non si sa bene se professionista o impiegato (7bis) - che comunque dipende dal proprietario del giornale o dall'esercente l'impresa giornalistica;
- questi ultimi, siano essi industriali o partiti, hanno già, per conto loro, i ben noti problemi di soccorso finanziario, di ordine economico, strategico, gerarchico e politico, e non possono darsi la pena di pensare alle idee “innovatrici o in fermento”, specie se impopolari.
La conclusione di questo polisillogismo è, in breve, che se un cittadino concepisce una di tali idee, deve contentarsi di diffonderla, a cena, agli amici disposti ad ascoltarlo, ed è costretto in tal modo ad intensificare impunemente e contro le sue intenzioni, quella corrente gi à abbastanza estesa di pubblica opinione, per così dire “clandestina” (cfr art.16 legge sulla stampa) la quale essendo, non di rado, fornita di ingiustificati malcontenti e sottraendosi praticamente ad una efficace confutazione, costituisce un pericolo per l'attuale ordinamento e, comunque, si pone in contrasto con i motivi ispiratori del precetto costituzionale (art.21), secondo cui “tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione ” e “la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.
Esistono come si vede, buone ragioni perché sia dichiarata costituzionalmente illegittima la ora denunciata disciplina limitativa della libert à di espressione.
Vale la pena di aggiungere a tale riguardo che la Corte Costituzionale con la sua prima decisione, sotto la presidenza di De Nicola, pur avendo affermato in via generale che “la norma la quale attribuisce un diritto non escluda il regolamento dell'esercizio di esso, ha tolto di mezzo quelle disposizioni che, in tema di diffusione della stampa, attribuivano una eccessiva estensione di poteri discrezionali per il suddetto regolamento ad un organo pubblico, quale è l'Autorità di Pubblica Sicurezza (alla quale dovevasi chiedere la licenza" di mettere in circolazione scritti o disegni...).
V'è, pertanto, motivo di sperare che la stessa Corte Costituzionale non cessi dalla sua attuale durata in carica, senza prima essere posta nelle condizioni di dover dichiarare l'illegittimit à delle anzidette norme, le quali affidano le manifestazioni del pensiero su un giornale all'insindacabile apprezzamento di un privato, qual'è il “direttore responsabile”, che deve per legge appartenere ad una particolare categoria di cittadini, ed è legato ad un rapporto di soggezione con il “proprietario”.


(a proposito della sentenza sulla “Zanzara”)
estratto da "Democrazia e Diritto", 1966, n.2

Diritti di espressione: considerazioni giuridiche generali
di Diego Benanti,
magistrato, già Giudice
di Corte Suprema di Cassazione
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